Page 276 - Hrobat Virloget, Katja. 2021. V tišini spomina: "eksodus" in Istra. Koper, Trst: Založba Univerze na Primorskem in Založništvo tržaškega tiska
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mario

condizioni sociali completamente mutate, divennero «gli altri», si trasfor-
marono in minoranza, almeno nelle città, persero la propria rete sociale,
il proprio bacino linguistico, passando da superiori a inferiori e venendo
collettivamente stigmatizzati come «fascisti». Il silenzio può essere espres-
sione del rifiuto da parte dell’opinione pubblica più generale di riconoscere
la veridicità storica di un evento traumatico vissuto dalle persone colpite.
Qui si tratta anche di una questione di dicotomia tra vincitori e vinti, e
di vincitori che non riconoscono ai vinti il diritto di lutto. L’interrogativo
emerge tuttavia anche nella direzione opposta: se una comunità condivide
le memorie su cui si fonda la sua identità collettiva (Halbwachs 2001), può
una comunità condividere il silenzio? Sì, una comunità può condividere la
memoria e anche il silenzio, che alla stregua della memoria può costituire il
fondamento di un’identità collettiva, come nel caso degli italiani in Istria.

Esiste poi anche il silenzio di chi ha approfittato della situazione di cri-
si per il proprio avanzamento sociale, per lotte di potere dunque, una ca-
tegoria che si registra anche tra gli italiani d’Istria. Spesso, il silenzio è il
risultato di memorie cariche di emozioni che le persone cercano di evitare
nel tentativo di difendersi dal trauma e dalle correlate sofferenze. È bene
specificare, tuttavia, che silenzio non significa semplice assenza di parole
o di voce e si può evincere anche dalle memorie incarnate, vale a dire dalle
pratiche quotidiane della memoria corporea – in fondo «il corpo non di-
mentica mai». Dalle testimonianze sono emerse anche storie di solidarietà
tra i migranti che sono partiti e i migranti che sono arrivati, che allo stesso
tempo attestano l’onnipresenza del silenzio con cui chi vive in una società
che si rifiuta di ascoltare, impara a convivere.

La lenta «detabuizzazione» dell’«esodo» e delle «foibe» è iniziata solo con
la democratizzazione della società jugoslava, sebbene ancora oggi sia pos-
sibile riscontrare sacche di silenzio. Ai tempi della Jugoslavia si dava rilie-
vo soprattutto alla cooperazione multietnica all’interno della comune lotta
partigiana. In Italia, fino agli anni Ottanta del secolo scorso, è proliferata,
invece, una letteratura scientifica che parla di «sofferenza degli italiani»
sotto i «barbari occupatori comunisti». E nei rari casi in cui in Slovenia e in
Croazia si parlava di «esodo», quest’ultimo veniva subito relativizzato dal-
l’affermazione che gli italiani sarebbero stati presenti solo nelle città, una
radicata convinzione di vecchia data sulla contrapposizione tra urbano ita-
liano e rurale slavo. Tale lacuna nella memoria slovena è riconducibile agli
elementi fondanti della sua identità collettiva, basata sulla Resistenza an-
tifascista e sulla lotta di Liberazione nazionale, che non contempla tuttavia
alcuna auto-riflessione sulle conseguenze e le ricadute innescate. Sono ra-

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