Page 17 - Hrobat Virloget, Katja, Kavrečič, Petra, eds. (2015). Il paesaggio immateriale del Carso. Založba Univerze na Primorskem, Koper.
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o »stari tradiciji« krajine: predgovor
Il ricco materiale sulle credenze precristiane rivelatosi solo recentemente (si veda-
no le pubblicazioni di Boris Čok, Pavel Medvešček) apre la questione della metodologia
di ricerca e della tradizione mitica e cultuale. Fino a che punto in realtà un etnologo o un
antropologo culturale, che giungono per la prima volta in un paese, forse una seconda
volta o anche una terza, riescono ad accedere ai saperi (segreti) di una comunità? Per-
ché ciò che appartiene solo ai membri della comunità dovrebbe essere svelato a colo-
ro che non vi appartengono, che non sono »dei nostri«? Boris Čok ha avuto la fortuna di
crescere in una comunità che lo considerava »uno di loro«, mentre Pavel Medvešček ha
avuto la fiducia, probabilmente limitata, ottenuta da un’assidua frequentazione dei »vec-
chi credenti«.
Consapevole della scarsità e dell’inaccessibilità delle credenze precristiane, causa di
disprezzo e derisione e che a lungo rimaste segrete, anche il presente lavoro certamen-
te non presenta interamente tutto ciò che ancora si nasconde negli angoli reconditi del
Carso. Forse è grazie a un generale cambiamento contemporaneo del rapporto con le
»cose vecchie« e con il patrimonio culturale locale che oggi la situazione va migliorando;
infatti, ogni giorno emergono nuove informazioni su pietre particolari, grotte cultuali, al-
beri e acque curative e altro. Nel presente libro sono state raccolte alcune ricerche (ori-
ginali) di ricercatori che, grazie alle proprie ampie conoscenze, hanno tentato di analiz-
zare sia quella parte del fonti già accessibili, ma anche quel materiale prezioso sui ricchi
simboli precristiani che è rimasto finora accessibile solo a coloro i quali erano considera-
ti dei »nostri«. Si spera che il presente libro possa costituire la base per nuove scoperte
sulle credenze precristiane e che il nostro tempo presente, dedicato alla ricerca delle ra-
dici del patrimonio culturale locale, sia più aperto verso di esse di quanto non lo si fosse
in passato, quando le sacerdotesse venivano gettate nelle voragini del Carso (Čok, 2012).
Indipendentemente dai fortunati individui che hanno avuto accesso ai saperi segre-
ti delle comunità, i ricercatori hanno fino a oggi potuto accedere alle conoscenze precri-
stiane anche attraverso le tradizioni legate ael paesaggio. Il paesaggio, infatti, rappresen-
ta un ricco sistema mnemotecnico che può conservare un ricordo »spazializzato«, mitico
ma anche storico, attraverso secoli e millenni. La memoria è cioè »topofila«, ancorata nei
paesaggi, sentieri, spazi aperti (Candau, 2005, 153). Uno dei primi ricercatori della memo-
ria collettiva, Halbwachs, ha notato che le comunità iscrivono le memorie collettive nel
proprio ambiente domestico in cui poi le ritrovano (Halbwachs, 2001, 143–177). Così an-
cora oggi nel paesaggio domestico si riesce a leggere il proprio passato remoto. Il tem-
po è assoggettato allo spazio, perché il passato è solo un aspetto del paesaggio. Pertanto
nella tradizione popolare rimane ben poco del tempo ovvero del passato remoto come
categoria astratta (Hrobat, 2010, 276–277), ciò che si conserva molto a lungo sono i signi-
ficati – grazie al paesaggio.
Bibliografia
Candau, Joël. Anthropologie de la mémoire. Paris: Armand Collin, 2005.
Čok, Boris. V siju mesečine. Ustno izročilo Lokve, Prelož in bližnje okolice. Ljubljana: ZRC
SAZU, 2012.
Hrobat, Katja. Ko Baba dvigne krilo. Prostor in čas v folklori Krasa. Ljubljana: Znanstvena
založba Filozofske fakultete, 2010.
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Il ricco materiale sulle credenze precristiane rivelatosi solo recentemente (si veda-
no le pubblicazioni di Boris Čok, Pavel Medvešček) apre la questione della metodologia
di ricerca e della tradizione mitica e cultuale. Fino a che punto in realtà un etnologo o un
antropologo culturale, che giungono per la prima volta in un paese, forse una seconda
volta o anche una terza, riescono ad accedere ai saperi (segreti) di una comunità? Per-
ché ciò che appartiene solo ai membri della comunità dovrebbe essere svelato a colo-
ro che non vi appartengono, che non sono »dei nostri«? Boris Čok ha avuto la fortuna di
crescere in una comunità che lo considerava »uno di loro«, mentre Pavel Medvešček ha
avuto la fiducia, probabilmente limitata, ottenuta da un’assidua frequentazione dei »vec-
chi credenti«.
Consapevole della scarsità e dell’inaccessibilità delle credenze precristiane, causa di
disprezzo e derisione e che a lungo rimaste segrete, anche il presente lavoro certamen-
te non presenta interamente tutto ciò che ancora si nasconde negli angoli reconditi del
Carso. Forse è grazie a un generale cambiamento contemporaneo del rapporto con le
»cose vecchie« e con il patrimonio culturale locale che oggi la situazione va migliorando;
infatti, ogni giorno emergono nuove informazioni su pietre particolari, grotte cultuali, al-
beri e acque curative e altro. Nel presente libro sono state raccolte alcune ricerche (ori-
ginali) di ricercatori che, grazie alle proprie ampie conoscenze, hanno tentato di analiz-
zare sia quella parte del fonti già accessibili, ma anche quel materiale prezioso sui ricchi
simboli precristiani che è rimasto finora accessibile solo a coloro i quali erano considera-
ti dei »nostri«. Si spera che il presente libro possa costituire la base per nuove scoperte
sulle credenze precristiane e che il nostro tempo presente, dedicato alla ricerca delle ra-
dici del patrimonio culturale locale, sia più aperto verso di esse di quanto non lo si fosse
in passato, quando le sacerdotesse venivano gettate nelle voragini del Carso (Čok, 2012).
Indipendentemente dai fortunati individui che hanno avuto accesso ai saperi segre-
ti delle comunità, i ricercatori hanno fino a oggi potuto accedere alle conoscenze precri-
stiane anche attraverso le tradizioni legate ael paesaggio. Il paesaggio, infatti, rappresen-
ta un ricco sistema mnemotecnico che può conservare un ricordo »spazializzato«, mitico
ma anche storico, attraverso secoli e millenni. La memoria è cioè »topofila«, ancorata nei
paesaggi, sentieri, spazi aperti (Candau, 2005, 153). Uno dei primi ricercatori della memo-
ria collettiva, Halbwachs, ha notato che le comunità iscrivono le memorie collettive nel
proprio ambiente domestico in cui poi le ritrovano (Halbwachs, 2001, 143–177). Così an-
cora oggi nel paesaggio domestico si riesce a leggere il proprio passato remoto. Il tem-
po è assoggettato allo spazio, perché il passato è solo un aspetto del paesaggio. Pertanto
nella tradizione popolare rimane ben poco del tempo ovvero del passato remoto come
categoria astratta (Hrobat, 2010, 276–277), ciò che si conserva molto a lungo sono i signi-
ficati – grazie al paesaggio.
Bibliografia
Candau, Joël. Anthropologie de la mémoire. Paris: Armand Collin, 2005.
Čok, Boris. V siju mesečine. Ustno izročilo Lokve, Prelož in bližnje okolice. Ljubljana: ZRC
SAZU, 2012.
Hrobat, Katja. Ko Baba dvigne krilo. Prostor in čas v folklori Krasa. Ljubljana: Znanstvena
založba Filozofske fakultete, 2010.
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