Page 33 - Studia Universitatis Hereditati, vol 8(2) (2020)
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ia universitatisstico italiano globale”, tenendo dunque in consi- Figura 19: Insegna di pizzeria a Graz
derazione non solo la norma endogena italiana, Figura 20: Insegna di ristorante a Graz
l’italiano nei linguistic landscapes dell’austr ia mer idionale: alcune consider azioni 33 per la quale tali elementi di ‘italiano all’estero’
possono talora risultare erronei o non adegua- Figura 21: Menù esposto a Graz
ti al sistema,30 ma anche quella ritenuta tale da
“parlanti marginali” (cf. Franceschini 2001), essi
risultano interessanti esempi di quanto viene ri-
tenuto plausibilmente italiano. Si tratta infatti
di creazioni di un italiano di contatto, nel quale
gli emittenti fanno ricorso, in chiare manifesta-
zioni di polylanguaging31 a quelle che Franceschi-
ni (2001, 111) ha chiamato – seppur in rapporto
a usi orali – “competenze marginali”.32 Com-
petenze linguistiche cioè “die durch unregel-
mäßigen Kontakt, durch nahezu passives Ausge-
setztsein oder durch selbstverständliche soziale
Anwesenheit einer Sprache zustande gekommen
sind”, ovverosia acquisite attraverso un contatto
irregolare, un’esposizione per così dire passiva o
attraverso la presenza socialmente ovvia di una
lingua. Competenze che sono marginali, come
specificato in un intervento posteriore della stes-
sa autrice (Franceschini 2004, 261) sia a livello
comunitario, non essendo l’italiano la lingua do-
minante nei territori in analisi, sia a livello di re-
pertorio individuale, e non costituendo esso una
lingua di cui emittenti e recipienti hanno, neces-
sariamente, approfondite conoscenze né di cui
fanno uso frequente e regolare. Gli xenoitalia-
nismi non vanno dunque giudicati con l’occhio
della norma italiana, ma, in un’ottica di apertu-
ra alla polifonia, essi vanno considerate come ap-
plicazione di schemi dell’italiano plausibili per
emittenti e destinatari, come produzioni legit-
30 Da cui la definizione “pseudoitalianismi” per indicare tali elementi,
utilizzata dallo stesso Vedovelli nel suo intervento del 2005, ma anche
da Casini (2018) e Ferrini (2018) per simili manifestazioni di italiano
nei linguistic landscapes canadesi da loro analizzati.
31 Ovverosia, come definite da Jørgensen et al. (2011, 33) “the use of fea-
tures associated with different “languages” even when speakers know
only few features associated with (some of) these ‘languages’”. Cf. an-
che Gorter e Cenoz (2015) per un’applicazione del concetto di tran-
slanguaging al linguistic landscape.
32 Non ci pare infatti qui di poter condividere, per i casi in analisi, la con-
siderazione di Shohamy (2019, 27), secondo la quale “[t]hus, it is often
the case that store owners may put up a sign in front of their shop in a
language they do not know, in order to attract clients or to demonstra-
te identity”; certo non si vuole affermare che le conoscenze dell’italia-
no siano ampie o approfondite, ma esse, seppur (a volte assai) margina-
li, esistono.
derazione non solo la norma endogena italiana, Figura 20: Insegna di ristorante a Graz
l’italiano nei linguistic landscapes dell’austr ia mer idionale: alcune consider azioni 33 per la quale tali elementi di ‘italiano all’estero’
possono talora risultare erronei o non adegua- Figura 21: Menù esposto a Graz
ti al sistema,30 ma anche quella ritenuta tale da
“parlanti marginali” (cf. Franceschini 2001), essi
risultano interessanti esempi di quanto viene ri-
tenuto plausibilmente italiano. Si tratta infatti
di creazioni di un italiano di contatto, nel quale
gli emittenti fanno ricorso, in chiare manifesta-
zioni di polylanguaging31 a quelle che Franceschi-
ni (2001, 111) ha chiamato – seppur in rapporto
a usi orali – “competenze marginali”.32 Com-
petenze linguistiche cioè “die durch unregel-
mäßigen Kontakt, durch nahezu passives Ausge-
setztsein oder durch selbstverständliche soziale
Anwesenheit einer Sprache zustande gekommen
sind”, ovverosia acquisite attraverso un contatto
irregolare, un’esposizione per così dire passiva o
attraverso la presenza socialmente ovvia di una
lingua. Competenze che sono marginali, come
specificato in un intervento posteriore della stes-
sa autrice (Franceschini 2004, 261) sia a livello
comunitario, non essendo l’italiano la lingua do-
minante nei territori in analisi, sia a livello di re-
pertorio individuale, e non costituendo esso una
lingua di cui emittenti e recipienti hanno, neces-
sariamente, approfondite conoscenze né di cui
fanno uso frequente e regolare. Gli xenoitalia-
nismi non vanno dunque giudicati con l’occhio
della norma italiana, ma, in un’ottica di apertu-
ra alla polifonia, essi vanno considerate come ap-
plicazione di schemi dell’italiano plausibili per
emittenti e destinatari, come produzioni legit-
30 Da cui la definizione “pseudoitalianismi” per indicare tali elementi,
utilizzata dallo stesso Vedovelli nel suo intervento del 2005, ma anche
da Casini (2018) e Ferrini (2018) per simili manifestazioni di italiano
nei linguistic landscapes canadesi da loro analizzati.
31 Ovverosia, come definite da Jørgensen et al. (2011, 33) “the use of fea-
tures associated with different “languages” even when speakers know
only few features associated with (some of) these ‘languages’”. Cf. an-
che Gorter e Cenoz (2015) per un’applicazione del concetto di tran-
slanguaging al linguistic landscape.
32 Non ci pare infatti qui di poter condividere, per i casi in analisi, la con-
siderazione di Shohamy (2019, 27), secondo la quale “[t]hus, it is often
the case that store owners may put up a sign in front of their shop in a
language they do not know, in order to attract clients or to demonstra-
te identity”; certo non si vuole affermare che le conoscenze dell’italia-
no siano ampie o approfondite, ma esse, seppur (a volte assai) margina-
li, esistono.