Page 35 - Panjek, Aleksander (2015). Paesaggio culturale e ambiente del Carso. L’uso delle risorse naturali in età moderna. Založba Univerze na Primorskem, Koper.
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spone anche di documentazione fotografica: il paesaggio in prevalenza spoglio e sassoso
del ciglione carsico iniziava ormai a essere punteggiato da aree verdi, risultato delle ope-
razioni di rimboschimento con il pino nero avviate nei decenni precedenti5. Ciò nono-
stante, agli occhi del viaggiatore forestiero, che poteva ormai agevolmente e velocemen-
te percorrerlo in treno, il Carso appariva ancora come un tremendo deserto composto
essenzialmente da due soli elementi, la nuda roccia e il vento di bora. Nella descrizione
fattane dallo scrittore svizzero Georg Baumberger (1902), autore di diversi libri di viag-
gio che verso la fine dell’estate percorse l’area in treno sul tragitto tra Lubiana e Trie-
ste, si percepisce un’enfatizzazione della desolazione del paesaggio carsico. La narrazio-
ne pare ormai vicina a una sorta di manierismo del discorso sul Carso, i topos ormai noti
sono condotti all’estremo. Il Carso pressoché inanimato diviene paesaggio della morte.

Da St. Peter [Pivka], si attraversa la peculiare area carsica. È una regione terribil-
mente desolata, e diventa sempre più desolata e solitaria, di una desolazione ter-
rificante e pietrificante. Si passa sopra l’altipiano carsico che si estende da Fiume
[Rijeka] fino a Gorizia e che non è nient’altro che un deserto di pietre pressoché
inanimato. Per spazi sterminati non si vede niente, se non massi di pietra grigi e sla-
vati, qua e là qualche misero pino deforme e cespugli di ginepro, oppure ciuffi d’er-
ba bruciata, e lì in mezzo, in una piccola conca di pietra, detta dolina, una capan-
na infinitamente misera, di gran lunga più primitiva dei nostri più miseri fienili alpini,
e accanto un campetto ugualmente misero che poverissima gente coltiva con scarsi
risultati. Pare come se qui la creazione si fosse fermata e avesse lasciato incomple-
ta l’opera. Non è l’atmosfera melanconica di una vitalità un tempo fiorente e ora
decaduta […], ma piuttosto quella infinitamente desolata dell’incompiuto, del di-
seredato e del maledetto fin dall’inizio, morto […]. La bora, un vento di nord-est –
il terrore di questa regione fino giù in Dalmazia – infierisce tremendamente da que-
ste parti: senza vincoli e senza barriere infuria e ulula sull’altipiano, sferza neve e
ghiaccio come pazza davanti a sé, forma grandissimi cumuli di neve, seppellisce i
pastori e le greggi che sorprende e rovescia anche pesanti mezzi di trasporto. Guai
al poveretto che, in questa terra deserta, essa assale e cinge con gelido abbraccio
lontano da un tetto, da un riparo. Egli è preda della morte quasi senza speranza
di salvezza e la bora, figlia della morte, ulula di gioia per aver spento un’altra vita
(Baumberger, 1902, 52–54).

L’illustrazione che nell’originale correda la descrizione, e riproduce un quadro di
Fritz von Kerner, è significativamente intitolata Il deserto carsico con la bora (Die Karstwüs-
te bei Bora) e pare quasi una trasposizione su tela del »mare di pietra« battuto dalla bora
descritto già da Valvasor e ripreso da Czoernig.

Vale infine la pena di considerare la percezione del Carso espressa da due intellet-
tuali e poeti locali del primo Novecento: Scipio Slataper e Srečko Kosovel6. Con Il mio car-
so (1912) Slataper ruppe il silenzio sul Carso e sulla sua popolazione da parte della lettera-
tura triestina di lingua italiana (D’Ascia, 1998, 19–30). L’ormai celebre incipit »Vorrei dirvi:
Sono nato in carso, in una casupola col tetto di paglia annerita dalle piove e dal fumo«, ri-

5 Utili e interessanti risultano, ad esempio, le fotografie relative all’attività di rimboschimento sul ciglione
carsico sopra Trieste (catena della Vena), scattate tra gli ultimi anni del XIX e i primi anni del XX secolo
dal fotografo Circovich in FVG, 1992.

6 Per il contesto storico-culturale almeno Ara, Magris 1987² e Košuta,1997.

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