Page 36 - Panjek, Aleksander (2015). Paesaggio culturale e ambiente del Carso. L’uso delle risorse naturali in età moderna. Založba Univerze na Primorskem, Koper.
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paesaggio culturale e ambiente del carso

corda le misere capanne, da cui »il fumo esce solo dalla porta« della prima metà dell’Ot-
tocento, ma è al contempo, almeno in parte, una licenza poetica, che serve a evocare la
primordialità rurale in contrasto al paesaggio urbano. Che i tetti di paglia fossero anco-
ra visibili è tuttavia confermato dal fatto che essi sono presenti anche in Kosovel, che in
Carso è nato. Per il resto le descrizioni di Slataper del paesaggio del Carso sono attente,
pur ripetendo, ma solo in parte, il discorso che abbiamo seguito nella sua formazione ed
evoluzione storica, peraltro fondato su alcuni caratteri innegabili e sulle più recenti sco-
perte scientifiche sui fenomeni carsici. La novità nella sua percezione consiste soprattut-
to nell’attribuzione di valori positivi al paesaggio e all’ambiente del Carso, quali la bontà
e la bellezza, nonostante la durezza e l’essenzialità primordiale – o forse proprio a cau-
sa di esse.

Il monte Kal è una pietraia. Ma io sto bene su lui. […] Io sono come te freddo e
nudo, fratello. Sono solo e infecondo. Fratello, su di te passa il sole e il polline, ma tu
non fiorisci. E il ghiaccio ti spacca in solchi dritti la pelle, e non sanguini; e non espri-
mi una pianta per trattenere le nuvole primaverili che sfiorandoti passano oltre […].
La bora aguzza di schegge mi frusta e mi strappa le orecchie. Ho i capelli come
aghi di ginepro […]. Bella è la bora. È il tuo respiro, fratello gigante. […] Lichene
sotto ai piedi, scricchiolante, rigido; erba giallastra come foglie morte; un querciolo
torto, e eccoli i piccoli verdi pini […] stretti e intrecciati […] Procedo: sono fra i pini
giganti. Un contadino con la frusta da pastore si ferma e mi guarda. Mongolo, da-
gli zigomi duri e gonfi come sassi coperti appena dalla terra […] Tu stai istupidito
mentre ti rubano gli aridi pascoli, i paurosi della tua bora. […] Perché tu sei slavo,
figliolo della nuova razza. Sei venuto nelle terre che nessuno poteva abitare, e le hai
coltivate. […] Lo sloveno mi guarda seccato. – Brucia i boschi che gli italiani, gente
sfatta di venti secoli, portarono qui per potere […] entrare nella Borsa [di Trieste]
senza bora! […]

Il carso è un paese di calcari e ginepri. Un grido terribile, impietrito. Macigni grigi
di piova e di licheni, scontorti, fenduti, aguzzi. Ginepri aridi. Lunghe ore di calcare
e di ginepri. L’erba è setolosa. Bora. Sole. La terra è senza pace, senza congiuntu-
re. Non ha un campo per distendersi. Ogni suo tentativo è spaccato e inabissato.
Grotte fredde, oscure. La goccia, portando con sé tutto il terriccio rubato, cade re-
golare, misteriosamente, da centomila anni, e ancora altri centomila.

Carso, che sei duro e buono! […] Tutta l’acqua che s’inabissa nelle tue spaccatu-
re; e il lichene secco ingrigia sulla roccia bianca, gli occhi vacillano nell’inferno d’a-
gosto. Non c’è tregua. Il mio carso è duro e buono. Ogni suo filo d’erba ha spacca-
to la roccia per spuntare, ogni suo fiore ha bevuto l’arsura per aprirsi. Per questo il
suo latte è sano e il suo miele odoroso. Egli è senza polpa. Ma ogni autunno una fo-
glia si disvegeta nei suoi incassi, e la sua poca terra rossastra sa ancora di pietra e
di ferro. Egli è nuovo ed eterno. E ogni tanto s’apre in lui una quieta dolina, ed egli
riposa infantilmente fra i peschi rossi e le pannocchie canneggianti. Disteso sul tuo
grembo io sento lontanar nel profondo l’acqua raccolta dai tuoi abissi […] che por-
ta la tua giovane salute al mare e alla città (Slataper, Guagnini, 2003, 41–44, 105).

Gli elementi del paesaggio sono quelli ormai noti: la roccia sterile, la bora sferzan-
te, la scarsità d’acqua, relegata in corsi sotterranei, la rarità delle coltivazioni, mentre più

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