Page 46 - Hrobat Virloget, Katja, Kavrečič, Petra, eds. (2015). Il paesaggio immateriale del Carso. Založba Univerze na Primorskem, Koper.
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il paesaggio immateriale del carso
Menocchio, secondo la sua stessa dichiarazione a Venezia aveva comprato il libro Il
fioretto della Bibbia, che era la traduzione di una cronaca catalana del XIV e XV sec. e ac-
canto altri testi conteneva pure vangeli apocrifi (Ginzburg, 2010, 72). In esso era possibi-
le leggere che »morendo l’huomo torna alli elementi suoi« (Ginzburg, 2010, 179). Nell’Euro-
pa postmedioevale c’erano cinque elementi, terra, acqua, fuoco, aria ed etere. L’ultimo, il
quinto elemento, quello che compone l’uomo, è la sua anima (che anche nella cosmologia
indiana potremmo paragonare all’etere, l’ākāśa). Secondo la concezione indiana, la mor-
te è un’immersione nei cinque elementi (pancatvam gatah). Il paragone di Menocchio del
cosmo a uno huovo (Ginzburg, 2010, 117) presenta parallelei sia indoeuropei che indiani.
Difficilmente si può credere che l’inquisizione anche in un intero secolo sarebbe ri-
uscita a dissipare completamente le caparbie credenze rurali friulane. Secondo i dati di
Ginzburg accadde proprio questo: attorno al 1640 era pubblica convinzione che i benan-
danti non fossero benefattori ma maghi e streghi, il che veniva riconosciuto dagli stessi
accusati. Le loro adunanze vennero condannate come congreghe col demonio e il loro
agire come causa di temporali e grandini dannosi. Che il processo di chiarificazione fosse
terminato abbastanza rapidamente, è dimostrato anche dalla tradizione popolare friula-
na del XIX e XX sec., per la quale benandanti è un sinonimo di maghi e streghe. Proces-
si contro i benandanti si tennero in Friuli ancora fino al 1749, sebbene negli ultimi cento
anni fossero rari, per il minore interesse sia delle autorità secolari come di quelle eccle-
siastiche.
Una situazione ancora differente si trovava in Istria, dove la tradizione si è conser-
vata fino ai giorni nostri. Similmente ai benandanti, che un tempo erano considerati »mi-
liti di Cristo«, anche alcuni die moderni kresniki si dichiaravano espressamente cattolici,
e nei loro viaggi extracorporali portavano con loro la croce o la campana (Lipovec Čeb-
ron, 2008, 133).
Diamo ancora la parola ai critici delle analisi di Ginzburg. Sembrano opportuni i
loro rimproveri, secondo i quali l’autore troppo poco si è dedicato al contesto sociale e
al più ampio contesto culturale delle credenze popolari, e delle questioni quando erano
intermediarie per la trasmissione delle idee dagli intrecci di tradizione popolare con com-
ponenti della cultura alta (Martin, 1992, 620). Paola Zambelli ha riscontrato che le »idee
popolari« di Menocchio erano state contaminate da parte di circoli di pensatori aristo-
telici di Padova. È possibile forse riscontrare anche influssi di neoplatonismo, ermetismo,
astrologia, alchimia (Zambelli, 1996, in particolare il capitolo V). Anche se accettiamo
questa spiegazione, rimane sempre la questione, quale fosse il significato delle credenze
popolari, che certamente non erano state immaginate o solo una conseguenza di malat-
tie psichiche, probabilmente avevano avuto dei loro antefatti e nel loro nucleo erano del
dutto pragmatiche. Questo significa che non abbiamo a che fare con anomalie, contami-
nazioni e mutazioni, ma con qualcosa che nel processo di ricerca di Ginzburg è presenta-
to quasi come universale nello spazio euroasiatico.
Una seconda questione concerne quanto si è potuto conservare attraverso l’otti-
ca ideologica dei ricercatori, che senza volerlo sono stati posti nel ruolo di etnologi o an-
tropologi. Purtroppo non sappiamo quali cognizioni preliminari avessero gli interrogato-
ri in questi dialoghi e quali questioni ponessero, dai verbali infatti è solo indirettamente
evidente. Su questo problema ha richiamato l’attenzione Franco Nardon, che ha esami-
nato tutto il periodo dei processi dell’inquisizione, dal 1574 al 1749 (Nardon, 1999, 51–56).
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Menocchio, secondo la sua stessa dichiarazione a Venezia aveva comprato il libro Il
fioretto della Bibbia, che era la traduzione di una cronaca catalana del XIV e XV sec. e ac-
canto altri testi conteneva pure vangeli apocrifi (Ginzburg, 2010, 72). In esso era possibi-
le leggere che »morendo l’huomo torna alli elementi suoi« (Ginzburg, 2010, 179). Nell’Euro-
pa postmedioevale c’erano cinque elementi, terra, acqua, fuoco, aria ed etere. L’ultimo, il
quinto elemento, quello che compone l’uomo, è la sua anima (che anche nella cosmologia
indiana potremmo paragonare all’etere, l’ākāśa). Secondo la concezione indiana, la mor-
te è un’immersione nei cinque elementi (pancatvam gatah). Il paragone di Menocchio del
cosmo a uno huovo (Ginzburg, 2010, 117) presenta parallelei sia indoeuropei che indiani.
Difficilmente si può credere che l’inquisizione anche in un intero secolo sarebbe ri-
uscita a dissipare completamente le caparbie credenze rurali friulane. Secondo i dati di
Ginzburg accadde proprio questo: attorno al 1640 era pubblica convinzione che i benan-
danti non fossero benefattori ma maghi e streghi, il che veniva riconosciuto dagli stessi
accusati. Le loro adunanze vennero condannate come congreghe col demonio e il loro
agire come causa di temporali e grandini dannosi. Che il processo di chiarificazione fosse
terminato abbastanza rapidamente, è dimostrato anche dalla tradizione popolare friula-
na del XIX e XX sec., per la quale benandanti è un sinonimo di maghi e streghe. Proces-
si contro i benandanti si tennero in Friuli ancora fino al 1749, sebbene negli ultimi cento
anni fossero rari, per il minore interesse sia delle autorità secolari come di quelle eccle-
siastiche.
Una situazione ancora differente si trovava in Istria, dove la tradizione si è conser-
vata fino ai giorni nostri. Similmente ai benandanti, che un tempo erano considerati »mi-
liti di Cristo«, anche alcuni die moderni kresniki si dichiaravano espressamente cattolici,
e nei loro viaggi extracorporali portavano con loro la croce o la campana (Lipovec Čeb-
ron, 2008, 133).
Diamo ancora la parola ai critici delle analisi di Ginzburg. Sembrano opportuni i
loro rimproveri, secondo i quali l’autore troppo poco si è dedicato al contesto sociale e
al più ampio contesto culturale delle credenze popolari, e delle questioni quando erano
intermediarie per la trasmissione delle idee dagli intrecci di tradizione popolare con com-
ponenti della cultura alta (Martin, 1992, 620). Paola Zambelli ha riscontrato che le »idee
popolari« di Menocchio erano state contaminate da parte di circoli di pensatori aristo-
telici di Padova. È possibile forse riscontrare anche influssi di neoplatonismo, ermetismo,
astrologia, alchimia (Zambelli, 1996, in particolare il capitolo V). Anche se accettiamo
questa spiegazione, rimane sempre la questione, quale fosse il significato delle credenze
popolari, che certamente non erano state immaginate o solo una conseguenza di malat-
tie psichiche, probabilmente avevano avuto dei loro antefatti e nel loro nucleo erano del
dutto pragmatiche. Questo significa che non abbiamo a che fare con anomalie, contami-
nazioni e mutazioni, ma con qualcosa che nel processo di ricerca di Ginzburg è presenta-
to quasi come universale nello spazio euroasiatico.
Una seconda questione concerne quanto si è potuto conservare attraverso l’otti-
ca ideologica dei ricercatori, che senza volerlo sono stati posti nel ruolo di etnologi o an-
tropologi. Purtroppo non sappiamo quali cognizioni preliminari avessero gli interrogato-
ri in questi dialoghi e quali questioni ponessero, dai verbali infatti è solo indirettamente
evidente. Su questo problema ha richiamato l’attenzione Franco Nardon, che ha esami-
nato tutto il periodo dei processi dell’inquisizione, dal 1574 al 1749 (Nardon, 1999, 51–56).
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