Page 110 - Panjek, Aleksander (2015). Paesaggio culturale e ambiente del Carso. L’uso delle risorse naturali in età moderna. Založba Univerze na Primorskem, Koper.
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paesaggio culturale e ambiente del carso

gliame degli alberi si trasforma in verde lussureggiante e alcuni alberi gettano per-
sino nuove foglie. […]

Su tutta la zona del Carso con una superficie totale di 110.381 iugeri si trova una
sola fustaia di grandi dimensioni, ovvero il querceto della scuderia di palazzo Lipiz-
za, che appartiene propriamente al territorio di Trieste. I restanti boschi sono un
po’ ovunque fortemente ridotti e spesso anche trasformati in nudi pascoli custoditi.
[…]

Su tutta l’area del Carso l’incremento delle piante da legno è molto forte e il vigore
riproduttivo delle latifoglie è rilevante. Fra le rocce e le scogliere più selvagge spun-
tano piante da legno, quando il suolo resta per alcuni anni risparmiato dal pascolo
e le radici degli alberi non sono totalmente sradicate. […]

Dal Carso vengono annualmente trasportate circa 800 cataste [0,9 metri cubi] di
legna da ardere, parte in Furlania, parte a Trieste (Scharnaggl, 2008, 77–78).

Ancora nel 1873 in Carso venivano dunque ogni anno venduti 720 metri cubi di le-
gname. A prescindere dai commenti critici sul conto delle pratiche agricole, che sappia-
mo non essere del tutto giustificati, il sostenitore del rimboschimento del Carso e criti-
co della pastorizia constata che, nonostante l’intenso uso delle risorse naturali, il Carso
era ancor sempre vitale. Tuttavia ciò non è da ascrivere esclusivamente alle energie na-
turali nascoste del Carso e alla tenacia della sua vegetazione. La »magia« non va attri-
buita unicamente alla natura, ma anche all’uomo del Carso che ha evidentemente sapu-
to non soltanto sfruttare a proprio vantaggio questa vitalità, bensì anche conservarla
nel tempo, seppure in un ambiente modificato e adattato. Una tale situazione nel perio-
do in cui era già stato avviato il rimboschimento, è nettamente in contrasto con l’inter-
pretazione secondo la quale con un pascolo eccessivo e con l’abbattimento degli alberi i
contadini carsolini avrebbero degradato e devastato il Carso, causandone la desertifica-
zione che l’avrebbe trasformato (pressoché irreversibilmente) in un deserto. Poiché se-
condo la »teoria del paesaggio distrutto la degradazione è un processo unidirezionale«
(ruined landscape theory, Grove, Rackham, 2001, 60), essa non può dunque essere appli-
cata al Carso.

La popolazione locale si trovava ad avere il Carso che essa stessa aveva forgiato,
usandolo e conservandolo in vita. Lo si evince anche dall’opinione dei contadini in merito
al rimboschimento, in quel periodo propugnato dalla élite urbana triestina e dagli esper-
ti forestali austriaci. Scharnaggl, per esempio, riteneva che il Carso andasse destinato
allo »sfruttamento silvicolturale«, che comportava un totale mutamento dell’uso dell’am-
biente rispetto a quello sviluppato e implementato dalla popolazione locale. Un cambia-
mento d’uso così radicale faceva presagire il crollo del sistema economico esistente. Gli
abitanti del Carso erano (comprensibilmente) contrari.

L’abitante del Carso ha già capito dalle precedenti, anche se piccole, piantagioni di
pino nero che, in caso di maggiori piantagioni di questa specie legnosa, è la fine per
il suo pascolo; ed è questo, in parte, anche il motivo della sua contrarietà. Nella pri-
mavera del 1872 già più di una comunità approntava ben volentieri le rabotte per
le piantagioni, ma a condizione che fossero concesse per piantare solo ornielli dei
vivai centrali di semina, adducendo di aver urgente bisogno di legna e di non poter
aspettare 80 anni prima di poter tagliare i pini neri […].

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