Page 64 - Panjek, Aleksander (2015). Paesaggio culturale e ambiente del Carso. L’uso delle risorse naturali in età moderna. Založba Univerze na Primorskem, Koper.
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paesaggio culturale e ambiente del carso

Con la coltivazione di frumento, avena, segale, orzo, sorgo, spelta, miglio, sarace-
no, legumi, cappucci e altre verdure e, dove possibile, anche di vino, soprattutto terra-
no, oltre che con l’allevamento di caprini, ovini, maiali e pollami, l’agricoltura era tesa a
coprire le necessità alimentari di base della popolazione. Con molta probabilità gli avvi-
cendamenti colturali seguivano diverse sequenze. In Carso e nella vicina valle del Vipacco
fino agli anni ’30 del Seicento il mais ancora non compariva tra i tributi (Panjek, 2004). La
sua diffusione procedeva provenendo dal Friuli, dove allora già si era affermato, mentre
in Carso probabilmente ancora non si era fatto strada tra le seminagioni, sebbene come
nuova coltura fosse destinato ad acquisire un ruolo importante nell’agricoltura e nell’a-
limentazione popolare.2 Nelle regioni slovene, già entro la metà del Cinquecento si era
invece affermata un’altra nuova coltura di rilievo e dal carattere di alimento popolare, il
grano saraceno (Gestrin, 1991, 224), che però, nell’area qui esaminata, nei primi decenni
del Seicento si riscontra soltanto tra i tributi delle signorie di Duino e del Vipacco e anche
qui in misura appena percettibile. Ciò suggerisce che il processo d’inclusione delle nuove
colture tra i tributi poteva durare a lungo, soprattutto per i raccolti dal valore commer-
ciale contenuto, qual era allora anche il mais.

L’indirizzo policolturale dell’agricoltura non lasciava molto spazio alla specializza-
zione, sebbene se ne possano cogliere dei segnali nell’ambito della vitivinicoltura, in par-
ticolare nelle zone che consentivano di sfruttare condizioni ambientali favorevoli alla
produzione del vino bianco, soprattutto nei pressi di Trieste. Tracce di specializzazione
possono essere individuate anche nell’allevamento del bestiame minuto, poiché era fon-
dato sullo sfruttamento delle superfici a pascolo di qualità mediocre, caratteristiche del
territorio carsico. Tuttavia nel caso della viticoltura si trattava di un’agricoltura indirizza-
ta in senso più intensivo, mentre nell’allevamento del bestiame minuto di un uso estensi-
vo delle risorse ambientali.

Al più tardi nella prima età moderna si fece palese il processo di frammentazione
delle aziende agricole. Così è possibile stimare che nella comunità di Sgonico nel 1570 i
masi interi disponevano di una quantità di arativo tra i 2,3 e i 5 ettari, un mezzo maso ave-
va 3,6 ha di terra, mentre a un quarto di maso ovvero a una kajža (Keuschler, Korb) ap-
parteneva soltanto un ettaro scarso (Panjek, 1997, 47–52). La frammentazione dei masi
non era però sempre visibile ed evidente dall’esterno, e quindi dalla registrazione ufficia-
le delle aziende come frazioni di maso. Il frazionamento poteva, infatti, rimanere nasco-
sto: sebbene le aziende agricole negli urbari mantenessero la loro unità formale, di fatto
erano abitate e coltivate da più nuclei famigliari. I commissari camerali che nel 1624 cu-
rarono le operazioni di stima delle entrate e del valore della signoria di Reifenberg, evi-
denziarono come molti dei masi fossero »occupati da quattro, cinque e più sudditi«. Ne-
gli stessi anni, a Schwarzenegg (1620) un’analoga commissione annotò che degli intestatari
registrati nel precedente urbario nessuno era più in vita, che alcuni masi erano da allora
»passati di mano tre o quattro volte« e infine che »la maggior parte di essi sono stati sud-
divisi in alquante parti«. Una voce camerale quasi contemporanea (1637) constatava nel-
la signoria di Duino un »aumento dei sudditi e residenti della giurisdizione in questi anni
passati« e anche in questo caso i masi erano occupati da »quattro, cinque e più« capifa-
miglia (Panjek, 2002, 51; Panjek, 2004, 34).

2 Sul periodo della comparsa e della diffusione del mais nel Litorale sloveno e in Friuli si vedano Britovšek,
1964, 210–211; Moritsch, 1969, 74–75; Gestrin, 1991, 38; Fornasin, 1999, 21–42.

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