Page 69 - Panjek, Aleksander (2015). Paesaggio culturale e ambiente del Carso. L’uso delle risorse naturali in età moderna. Založba Univerze na Primorskem, Koper.
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mutamenti

lardo ed olio, in erbaggi freschi, in salumi, ova, caccio, e vino puro all’atto dei lavo-
ri, ed adacquato nel rimanente dell’anno (AST, CF, Tomaj, S5).

Mutamenti particolarmente consistenti interessarono la viticoltura. Già nel corso
del Cinquecento vi era stata in Carso, come in tutta l’area litoranea asburgica (soprattut-
to nelle zone del Collio goriziano e di pianura, ma anche nelle altre) una notevole espan-
sione delle superfici coltivate a vite e quindi un sensibile orientamento in direzione del-
la produzione vinicola (Panjek, 2002). Da un lato si trattò di sviluppi che rispecchiavano il
momento di crescita economica e commerciale a livello europeo, accompagnata da una
tendenza alla specializzazione regionale della produzione agricola in base alle vocazio-
ni colturali (Slicher van Bath, 1978, 81–82; Topolski, 1979, 202; Abel, 1976, 171). Dall’altro
esso fu un movimento espansivo che s’innestava su tradizioni colturali preesistenti. La vi-
ticoltura è, infatti, attestata nei dintorni di Trieste almeno dall’epoca romana e anche du-
rante il medioevo fu presente in tutta l’area8. Tra il Cinque e il Settecento i vini con la mag-
giore proiezione commerciale erano indubbiamente i bianchi del Collio goriziano (ribolla,
vino di colle), dove la viticoltura rappresentava l’attività economica più importante in as-
soluto. Il vino veniva in buona parte esportato oltralpe, soprattutto in Carinzia. Seguiva-
no i vini bianchi della pianura friulana orientale, della valle del Vipacco e del territorio di
Trieste, anch’essi in buona parte esportati verso le regioni settentrionali. I vini rossi era-
no per lo più destinati al consumo locale e venivano prodotti in tutte le zone: in Carso il
rosso veniva detto »terrano«, nome che mantiene ancor oggi. L’unico vino del Carso che
in età moderna era in grado di concorrere con i bianchi del Collio, del Friuli e del Vipac-
co, era quello prodotto presso Prosecco.

La forma di coltivazione della vite, che influisce notevolmente sulla forma del pae-
saggio culturale, è meglio nota dalla fine del Settecento e dagli inizi dell’Ottocento, quan-
do prevaleva la coltura promiscua, in cui sui campi insieme al grano la vite cresceva su so-
stegno vivo – l’albero. Era tuttavia conosciuta anche la coltivazione della vite sostenuta da
pali secchi, sebbene nell’Ottocento fosse utilizzata soprattutto quando non vi era l’albe-
ro. Per lo meno in un passato più lontano (come nuovamente nel Novecento), era inve-
ce forse più diffusa la coltura specializzata della vite a vigneto. Nel 1624 sul territorio del-
la signoria di Reifenberg, per esempio, furono contati ben 1.443 »piccoli vignetelli« (kleine
Weingärtel, SLA, Hofkammer, 90, 11), in cui è invero possibile vedere sia vigneti puri sia viti
in coltura promiscua. Dal censimento catastale effettuato nel 1777 a S. Croce (Križ) pres-
so Trieste, dove il ciglione carsico discende ripido fino al mare, si desume come la vite vi
venisse coltivata tanto a vigneto quanto in coltura promiscua, associata all’ulivo, mentre
sull’altipiano la vite cresceva lungo gli arativi. La forma di coltura promiscua usata veniva
detta »alla friulana«, »in cui le viti erano disposte a gruppi in fila attorno a pali o alberi«,
e sarebbe stata introdotta dalla metà del Seicento (Kalc, 2005, 305).9 Nel catasto france-
schino della prima metà dell’Ottocento è possibile rilevare una spiegazione convincente,
riferita al caso di S. Daniele del Carso e della vicina Kobdilj, dove il vino bianco di miglio-
re qualità era coltivato a vigneto specializzato con la vite a palo secco, mentre il vino ros-
so di qualità inferiore era coltivato su sostegno vivo (albero) in coltura promiscua (AST,

8 La cronaca in rime di Ottocaro elenca la presenza in quest’area dei seguenti tipi di vino: pinol, vino di
Muggia, ribolla, vino di colle (del Collio), vino di Vipacco e terrano, cfr. Ottokars Österreichische Reimchro-
nik, Seemüller, 1890–1893, 457.

9 Si veda anche Malnič, 2000, 117–119.

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