Page 75 - Hrobat Virloget, Katja, Kavrečič, Petra, eds. (2015). Il paesaggio immateriale del Carso. Založba Univerze na Primorskem, Koper.
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l paesaggio mitico di gropada nell’ambito delle memorie orali del carso ...
Gli abitanti di Gropada, su questa altura, alla vigilia della festività di San Giovanni
(24 giugno) accendono un falò; per l’intera giornata raccolgono la legna e la portano sul-
la cima, appiccando il fuoco la sera: »Per San Giovanni, quando facevamo il falò, lo fanno an-
cora oggi, quando era già stato preparato, ma per vederlo devono andare proprio lassù. Perché
qua non c’erano alberi, non c’era niente, tutto era pulito... adesso invece tutto è coperto con la
vegetazione« (Kristina Gojiča, Belovič, Koprivec, 2014, 6).
Nel periodo di queste festività gli abitanti di Gropada intrecciano, secondo tra-
dizionali procedimenti, le ghirlande di San Giovanni, che fino all’anno seguente rimar-
ranno appese al portone; ramoscelli di pokovənce (sorbus aria) vengono conficcati in ter-
ra nei campi coltivati (e pure altrove) per proteggerli dalle štrige (streghe): »Contro le
streghe. Sì, sì. Questo succedeva alla vigilia di San Giovanni. Facevamo dei mazzetti contro le
streghe. Ancora più importante era questo rametto, il rametto di … pokovənce… molto, mol-
to importanti erano questi rametti. Li mettevano sulle porte delle stalle delle mucche, ricor-
do, e all’inizio del campo« (Klara Grgič, intervista di Mirta Čok). Oltre che con rametti
di sorbo, le ghirlande venivano intrecciate anche con fiori gialli di amaranto (bardavičn-
ik, amaranthus caudatus) (Mirta Čok, 3. 7. 2014). Le ghirlande rimanevano sui portoni
per tutto l’anno, quale protezione contro le streghe, i ramoscelli di sorbo si conficcava-
no anche all’inizio dei campi coltivati e sulle porte delle stalle, e costituivano una pro-
tezione non solo per le famiglie ma anche per i prodotti e gli animali. Le ghirlande che
venivano poste sui portoni non erano benedette ovvero non erano benedette in chie-
sa. Quest’usanza si riscontrava anche altrove nel Carso, dove nella notte dei falò si cre-
avano ghirlande di sorbo (muokonca) per gli animali affinché si rafforzasse il loro vigo-
re, per proteggerli dalle forze malvagie, dalle streghe che vagavano nella notte dei falò
(Boris Čok, 3.4.2015, Matavun, conferenza: Vecchi credenti e rimedi naturali a Prelože
e Lokev).
Lo spazio, secondo la concezione dell’uomo, da nessuna parte »/.../ non è omo-
geneo; in esso si subiscono interruzioni, rotture; alcune parti dello spazio sono qualitati-
vamente diverse dalle altre« (Eliade, 1987, 20–21). Affinché non si perdesse nello spazio
imprevedibile, l’uomo ha stabilito una determinata logica, delle regole, che determinano
con precisione i luoghi d’accesso del sovrannaturale nel mondo terreno. Per comprende-
re lo spazio, l’uomo lo ha strutturato con l’introduzione del concetto di confine, che deri-
va dal sistema delle opposizioni binarie (Lévi-Strauss, 1989) ed è cioè mediatore fra oppo-
sti che distingue (van Gennep, 1977; Leach, 1983; Dragan, 1999 et similia). La prospettiva
dualistica, che di solito corrisponde alla contrapposizione tra »sacro« e »profano«, si
mostra in diverse percezioni dello spazio come spazio »sociale«, »acquisito« e »organiz-
zato« in contrapposizione a quello »selvaggio«, »inviolato« e »caotico« (Douglas, 1993;
Eliade, 1987; Radenković, 1996; Risteski, 2005). Recentemente peraltro Philippe Desco-
la ha dimostrato nella decostruzione delle categorie antropologiche tradizionali che l’op-
posizione tra »selvaggio« e »domestico« (o fra natura e cultura) non sono così universa-
li come a lungo si è pensato. In certi luoghi tale dicotomia delle categorie non agisce così
rigorosamente ed è a volte perfino assente, come per esempio tra i nomadi e i cacciatori
– raccoglitori. È vero tuttavia che la maggioranza delle culture identifica lo spazio esterno
al controllo umano con un luogo selvaggio, ma talvolta questo non agisce secondo il prin-
cipio della contrapposizione binaria oppure muta a seconda del contesto (Descola, Páls-
on, 2002, 8–12; Segaud, 2008, 119–20).
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Gli abitanti di Gropada, su questa altura, alla vigilia della festività di San Giovanni
(24 giugno) accendono un falò; per l’intera giornata raccolgono la legna e la portano sul-
la cima, appiccando il fuoco la sera: »Per San Giovanni, quando facevamo il falò, lo fanno an-
cora oggi, quando era già stato preparato, ma per vederlo devono andare proprio lassù. Perché
qua non c’erano alberi, non c’era niente, tutto era pulito... adesso invece tutto è coperto con la
vegetazione« (Kristina Gojiča, Belovič, Koprivec, 2014, 6).
Nel periodo di queste festività gli abitanti di Gropada intrecciano, secondo tra-
dizionali procedimenti, le ghirlande di San Giovanni, che fino all’anno seguente rimar-
ranno appese al portone; ramoscelli di pokovənce (sorbus aria) vengono conficcati in ter-
ra nei campi coltivati (e pure altrove) per proteggerli dalle štrige (streghe): »Contro le
streghe. Sì, sì. Questo succedeva alla vigilia di San Giovanni. Facevamo dei mazzetti contro le
streghe. Ancora più importante era questo rametto, il rametto di … pokovənce… molto, mol-
to importanti erano questi rametti. Li mettevano sulle porte delle stalle delle mucche, ricor-
do, e all’inizio del campo« (Klara Grgič, intervista di Mirta Čok). Oltre che con rametti
di sorbo, le ghirlande venivano intrecciate anche con fiori gialli di amaranto (bardavičn-
ik, amaranthus caudatus) (Mirta Čok, 3. 7. 2014). Le ghirlande rimanevano sui portoni
per tutto l’anno, quale protezione contro le streghe, i ramoscelli di sorbo si conficcava-
no anche all’inizio dei campi coltivati e sulle porte delle stalle, e costituivano una pro-
tezione non solo per le famiglie ma anche per i prodotti e gli animali. Le ghirlande che
venivano poste sui portoni non erano benedette ovvero non erano benedette in chie-
sa. Quest’usanza si riscontrava anche altrove nel Carso, dove nella notte dei falò si cre-
avano ghirlande di sorbo (muokonca) per gli animali affinché si rafforzasse il loro vigo-
re, per proteggerli dalle forze malvagie, dalle streghe che vagavano nella notte dei falò
(Boris Čok, 3.4.2015, Matavun, conferenza: Vecchi credenti e rimedi naturali a Prelože
e Lokev).
Lo spazio, secondo la concezione dell’uomo, da nessuna parte »/.../ non è omo-
geneo; in esso si subiscono interruzioni, rotture; alcune parti dello spazio sono qualitati-
vamente diverse dalle altre« (Eliade, 1987, 20–21). Affinché non si perdesse nello spazio
imprevedibile, l’uomo ha stabilito una determinata logica, delle regole, che determinano
con precisione i luoghi d’accesso del sovrannaturale nel mondo terreno. Per comprende-
re lo spazio, l’uomo lo ha strutturato con l’introduzione del concetto di confine, che deri-
va dal sistema delle opposizioni binarie (Lévi-Strauss, 1989) ed è cioè mediatore fra oppo-
sti che distingue (van Gennep, 1977; Leach, 1983; Dragan, 1999 et similia). La prospettiva
dualistica, che di solito corrisponde alla contrapposizione tra »sacro« e »profano«, si
mostra in diverse percezioni dello spazio come spazio »sociale«, »acquisito« e »organiz-
zato« in contrapposizione a quello »selvaggio«, »inviolato« e »caotico« (Douglas, 1993;
Eliade, 1987; Radenković, 1996; Risteski, 2005). Recentemente peraltro Philippe Desco-
la ha dimostrato nella decostruzione delle categorie antropologiche tradizionali che l’op-
posizione tra »selvaggio« e »domestico« (o fra natura e cultura) non sono così universa-
li come a lungo si è pensato. In certi luoghi tale dicotomia delle categorie non agisce così
rigorosamente ed è a volte perfino assente, come per esempio tra i nomadi e i cacciatori
– raccoglitori. È vero tuttavia che la maggioranza delle culture identifica lo spazio esterno
al controllo umano con un luogo selvaggio, ma talvolta questo non agisce secondo il prin-
cipio della contrapposizione binaria oppure muta a seconda del contesto (Descola, Páls-
on, 2002, 8–12; Segaud, 2008, 119–20).
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