Page 47 - Studia Universitatis Hereditati, vol 7(2) (2019)
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ia universitatisgli ordinamenti sociali europei (Romeo 1989, 58; ta impossibile entrare in relazione, condannabile
Fasano 1997, 470). Connessa a tale riabilitazio- pertanto nell’atto interlocutorio. Dunque, stra-
plurilinguismo tr a adattamenti, fr aintendimenti, parodie, da ruzante a tar antino, nella scena 47 ne, ecco poi la prospettiva straniata che lo stra- niero, innanzitutto chi si esprime in una lingua
niero consente ogni volta che si intende contesta- diversa, vanificando in tal modo la fatica fatta da
re l’esistente. L’illuminismo conosce spesso tale ognuno di noi per assimilare l’idioma materno,
mascheratura, dalle Lettres persanes di Monte- il vocabolario tanto vicino alla nostra animali-
squieu del 1721 ai severi foresti nella scena goldo- tà fisica, alle nostre radici. Opportuna, in que-
niana. Così, la parlata levantina seriosa di Isidoro sto snodo del discorso, la novella pirandelliana
che condanna le pratiche femminili dispendiose Lontano del 1902, in cui il marinaio norvegese
ne Le done di casa soa del 1755, così il ricco Alì, Lars Cleen, che ha sposato Venerina, la ragazza
disgustato dai castrati d’opera, ne L’impresario siciliana di Porto Empedocle, si ritrova alla fine
delle Smirne del 1759. Ritroviamo quest’occhio del racconto spaesato, specie nell’uso della paro-
innocente e malizioso nell’orizzonte novecente- la. Una sorta di incubo, per cui rispetto agli altri
sco, tra lo straniamento auspicato nella scena da esseri umani “si meravigliava poi nel veder loro
Brecht e la categoria dell’ostranenie dei formalisti battere le palpebre, com’egli le batteva, e muove-
russi. Perché lo straniero, da sempre, è portatore re le labbra, com’egli le moveva. Ma che diceva-
di uno sguardo diverso e non integrato, alla let- no?” (Pirandello 1985, 957). Suoni del corpo, alla
tera esotico. Se porta il caos nel micro mondo sta- stessa stregua di quelli più fisiologici, e uguali,
tico e chiuso in sé, questo sradicato e senza patria transculturali, e qui invece purtroppo ben diffe-
porta pure istanze di verità. Ci obbliga infatti a renziati. Perché lo straniero, se cerca di adattarsi,
confrontarci colla percezione dell’altro, quasi a di assorbire il paese nuovo in cui si insedia, vie-
cogliere il proprio volto nell’occhio altrui, senza ne subito tradito e identificato nella sua diversi-
più le nostre abitudini, ossia gli automatismi nar- tà dall’orribile accento che svela l’appartenenza
cisistici e auto protettivi. Quale variante, lo sto- ad un’altra phonè. Pure Dante nel canto XVII,
rico che si volge verso altri tempi sino a rischiare vv. 55-60 del Paradiso, esibisce tale esperienza in
la nostalgia per il passato, come ammoniva De- termini desolanti e depressivi: “Tu lascerai ogni
scartes6. Porsi fuori, ancora, per vedere meglio e cosa diletta”. Esilio quale autentica ordalia, pro-
vedere nuovo. va drammatica che seleziona in termini darwi-
niani la categoria (Domenichelli 1997, XXXIV).
La demonizzazione dello straniero inizia, Esprimersi fuori dalla propria origine comporta
come si sa, dai Greci, capaci di inventare un lem- una lingua tagliata, deprivata, sradicata, lingua
ma che idealmente comprendesse quanti non ne dell’infelicità, “lingua minorata” che però può
condividevano la loro etnicità. Questo, per esse- rovesciarsi in “lingua della verità”, “lingua filo-
re precisi, dopo le invasioni persiane, come atte- sofica” (Domenichelli 1997, XXXI). Questo, il
sta la già citata Medea euripidea con tutta la sua primo trauma di chi è costretto a lasciare la ter-
minacciosa diversità. Il vocabolo escogitato, ap- ra madre. E’ la tragedia di Babele, il passaggio in
punto βάρβαρος, rimanda ironicamente ad un’o- un al di là linguistico, di cui però un ebreo come
rigine orientale e fa risuonare, per “onomatopea George Steiner ci mostra i vantaggi, e insieme la
imitativa e reduplicativa” (Ceserani 1997, 319), fisiologica omologazione nei processi di comuni-
chi si esprime in un linguaggio non articolato, cazione, verificata del resto nello scambio verba-
insomma un parlante eterofono, di conseguen- le coll’altro, entro il medesimo vocabolario (Stei-
za incomprensibile. βάρβαρος finisce per coinci- ner 1975). Una disgrazia e una grazia nello stesso
dere col non umano, coll’altro da sé con cui risul- tempo, così, l’atto di tradurre e di tradursi, ri-
proponendo la medesima oscillazione di valore
6 Per Descartes, tre figure dello straniero appaiono in tal senso, chi connessa al ruolo dello straniero. Naturalmente
appunto assume attivamente lo sguardo dell’altro per mettere in la dinamica non avviene mai alla pari, in quan-
crisi le proprie convinzioni, quindi la estraneità soggettiva, subìta,
dello sradicato, e infine quella dello storico. Nel Discours de la
Méthode, è il filosofo dunque che si costituisce proprio in quanto as-
sume uno sguardo straniante (Marcialis 1997, 19).
Fasano 1997, 470). Connessa a tale riabilitazio- pertanto nell’atto interlocutorio. Dunque, stra-
plurilinguismo tr a adattamenti, fr aintendimenti, parodie, da ruzante a tar antino, nella scena 47 ne, ecco poi la prospettiva straniata che lo stra- niero, innanzitutto chi si esprime in una lingua
niero consente ogni volta che si intende contesta- diversa, vanificando in tal modo la fatica fatta da
re l’esistente. L’illuminismo conosce spesso tale ognuno di noi per assimilare l’idioma materno,
mascheratura, dalle Lettres persanes di Monte- il vocabolario tanto vicino alla nostra animali-
squieu del 1721 ai severi foresti nella scena goldo- tà fisica, alle nostre radici. Opportuna, in que-
niana. Così, la parlata levantina seriosa di Isidoro sto snodo del discorso, la novella pirandelliana
che condanna le pratiche femminili dispendiose Lontano del 1902, in cui il marinaio norvegese
ne Le done di casa soa del 1755, così il ricco Alì, Lars Cleen, che ha sposato Venerina, la ragazza
disgustato dai castrati d’opera, ne L’impresario siciliana di Porto Empedocle, si ritrova alla fine
delle Smirne del 1759. Ritroviamo quest’occhio del racconto spaesato, specie nell’uso della paro-
innocente e malizioso nell’orizzonte novecente- la. Una sorta di incubo, per cui rispetto agli altri
sco, tra lo straniamento auspicato nella scena da esseri umani “si meravigliava poi nel veder loro
Brecht e la categoria dell’ostranenie dei formalisti battere le palpebre, com’egli le batteva, e muove-
russi. Perché lo straniero, da sempre, è portatore re le labbra, com’egli le moveva. Ma che diceva-
di uno sguardo diverso e non integrato, alla let- no?” (Pirandello 1985, 957). Suoni del corpo, alla
tera esotico. Se porta il caos nel micro mondo sta- stessa stregua di quelli più fisiologici, e uguali,
tico e chiuso in sé, questo sradicato e senza patria transculturali, e qui invece purtroppo ben diffe-
porta pure istanze di verità. Ci obbliga infatti a renziati. Perché lo straniero, se cerca di adattarsi,
confrontarci colla percezione dell’altro, quasi a di assorbire il paese nuovo in cui si insedia, vie-
cogliere il proprio volto nell’occhio altrui, senza ne subito tradito e identificato nella sua diversi-
più le nostre abitudini, ossia gli automatismi nar- tà dall’orribile accento che svela l’appartenenza
cisistici e auto protettivi. Quale variante, lo sto- ad un’altra phonè. Pure Dante nel canto XVII,
rico che si volge verso altri tempi sino a rischiare vv. 55-60 del Paradiso, esibisce tale esperienza in
la nostalgia per il passato, come ammoniva De- termini desolanti e depressivi: “Tu lascerai ogni
scartes6. Porsi fuori, ancora, per vedere meglio e cosa diletta”. Esilio quale autentica ordalia, pro-
vedere nuovo. va drammatica che seleziona in termini darwi-
niani la categoria (Domenichelli 1997, XXXIV).
La demonizzazione dello straniero inizia, Esprimersi fuori dalla propria origine comporta
come si sa, dai Greci, capaci di inventare un lem- una lingua tagliata, deprivata, sradicata, lingua
ma che idealmente comprendesse quanti non ne dell’infelicità, “lingua minorata” che però può
condividevano la loro etnicità. Questo, per esse- rovesciarsi in “lingua della verità”, “lingua filo-
re precisi, dopo le invasioni persiane, come atte- sofica” (Domenichelli 1997, XXXI). Questo, il
sta la già citata Medea euripidea con tutta la sua primo trauma di chi è costretto a lasciare la ter-
minacciosa diversità. Il vocabolo escogitato, ap- ra madre. E’ la tragedia di Babele, il passaggio in
punto βάρβαρος, rimanda ironicamente ad un’o- un al di là linguistico, di cui però un ebreo come
rigine orientale e fa risuonare, per “onomatopea George Steiner ci mostra i vantaggi, e insieme la
imitativa e reduplicativa” (Ceserani 1997, 319), fisiologica omologazione nei processi di comuni-
chi si esprime in un linguaggio non articolato, cazione, verificata del resto nello scambio verba-
insomma un parlante eterofono, di conseguen- le coll’altro, entro il medesimo vocabolario (Stei-
za incomprensibile. βάρβαρος finisce per coinci- ner 1975). Una disgrazia e una grazia nello stesso
dere col non umano, coll’altro da sé con cui risul- tempo, così, l’atto di tradurre e di tradursi, ri-
proponendo la medesima oscillazione di valore
6 Per Descartes, tre figure dello straniero appaiono in tal senso, chi connessa al ruolo dello straniero. Naturalmente
appunto assume attivamente lo sguardo dell’altro per mettere in la dinamica non avviene mai alla pari, in quan-
crisi le proprie convinzioni, quindi la estraneità soggettiva, subìta,
dello sradicato, e infine quella dello storico. Nel Discours de la
Méthode, è il filosofo dunque che si costituisce proprio in quanto as-
sume uno sguardo straniante (Marcialis 1997, 19).