Page 51 - Studia Universitatis Hereditati, vol 7(2) (2019)
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ia universitatistrusioni materiche tardo poundiane e intuizioni prio interno, si ha un atteggiamento di apertu-
junghiane sulla persistenza degli archetipi pri- ra verso lo straniero, non si teme la sua cultura”
plurilinguismo tr a adattamenti, fr aintendimenti, parodie, da ruzante a tar antino, nella scena 51 mari. Nel coro poliglotta, nella delirante polifo- (Cotesta 2002, 5). Tanto più che parte del terri-
nia che commenta la visione e la sua successiva torio degli Usa “è stata colonizzata da pellegrini
dissolvenza, l’autore ha modo così di riversare un inglesi alla ricerca di libertà religiosa”, così come
lessico inzuppato di latte e invaso dal fango, là lo sviluppo economico è stato realizzato “grazie
dove l’io si annulla e con lui svaniscono le distin- anche a consistenti flussi di manodopera nera
zioni spazio-temporali e la razionalità storiciz- comprata sul mercato degli schiavi fiorente per
zante. I suoni concitati, quasi il canto lamento- secoli tra le due sponde dell’Atlantico” (Cote-
so intorno ad un parto bramato/temuto, paiono sta 2002, 3). Da un lato, pertanto, ipertrofia del-
richiamare il sabba frenetico con cui Dario Fo, la razionalità, sprigionata “solo se si è estranei gli
nel monologo plurale del Mistero buffo, presen- uni agli altri”, dall’altro la mobilità quale aper-
tava sette anni prima la sua Resurrezione di Laz- tura all’esperienza (Cotesta 2002, 14). Ed è pro-
zaro. Vi si riscontra, infatti, proprio il Carneva- prio l’ebreo a mostrarsi incapace di metter radi-
le, col vocabolario centrifugato, ancora una volta ci. E la sua estraneità si traduce nell’ambivalenza
il babelico Fontego lagunare, il caos grottesco riguardo allo spazio, perché “la distanza nel rap-
dell’evento numinoso rivissuto in chiave popo- porto significa che il soggetto vicino è lontano,
lare, come se a dettare questo Vangelo apocrifo mentre l’essere straniero significa che il sogget-
fosse lo sproloquio di uno Zanni ebbro e irritua- to lontano è vicino” (Cotesta 2002, 16). Essendo
le. In tale maniera, si conferma il recupero alto vicino-lontano, “non è riconosciuto come un in-
del dialetto in funzione dell’estro poetico, fuo- dividuo, ma come il membro di un tipo, di una
ri da qualsiasi bozzettismo o intermezzo comi- classe, come l’elemento che è costantemente so-
co, mentre una scrittura più che mai preziosa si speso sul limite, che è fuori e di fronte” (Cote-
rovescia nell’estro e nel disordine vitalissimo di sta 2002, 21). Una volta emigrato fuori, l’ebreo,
un corpo in scena. il primo cosmopolita e cittadino del mondo, si
emancipa dal suo vecchio habitat, e privo di lega-
Se il più importante uomo di teatro della mi com’è col nuovo mondo che l’accoglie anche
scena occidentale, Shakespeare, inventaria quat- con asprezza, non può, nella ricerca iniziale di
tro figure di straniero, ossia la donna, l’ebreo, assimilazione, che attivarsi lungo due traiettorie,
il moro e il selvaggio (Deidda 1997, 497- 511)18, ovvero “la secolarizzazione della società e l’indi-
quello che qui interessa è l’ebreo dissociato tra vidualizzazione dell’individuo” (Cotesta 2002,
un nomadismo incessante, quasi per il bisogno 25). Non basta, in quanto l’ebreo- straniero in
di “essere altrove”, (Fink 1997, 139) e il tentati- quanto uomo marginale, secolarizzato e cosmo-
vo reiterato di farsi assimilare in una determina- polita, è anche e soprattutto “individuo metro-
ta realtà culturale-linguistica. Straniero-ebreo-e- politano”, anticipando “le relazioni di estraneità
retico-marginale diviene allora un volano per esistenti tra gli uomini della modernità” (Cote-
i motori dello sviluppo capitalistico moderno, sta 2002, 29).
assumendo sempre più rilievo nel suo decollo
(Cotesta 2002, 9-14). È lui a saggiare l’effettiva Qui si aggancia la contraddizione ogget-
apertura o meno delle società in cui cerca di pe- tiva, o meglio la mimetizzazione operata in tal
netrare, è lui a verificarne sulla sua pelle il grado senso da Harold Pinter nel presentare la statici-
di tolleranza: “Il senso di sicurezza o la paura ver- tà esasperata del nucleo familistico in The room
so l’altro sono l’espressione della fiducia che una al debutto nel 1960, casa però mostrato quale ba-
comunità ha in se stessa. Se si crede nella pro- ra-bunker e il condominio quale lager traslato.
pria capacità di integrare altri individui al pro- La stanza, vera protagonista del play, è proprio
lo spazio vitale per sopravvivere rispetto al mon-
18 Deidda ricava tali categorie da Fiedler 1972, cui aggiunge le figure do esterno, pericoloso e violento, in uno scena-
del malinconico e del mago, 497.
junghiane sulla persistenza degli archetipi pri- ra verso lo straniero, non si teme la sua cultura”
plurilinguismo tr a adattamenti, fr aintendimenti, parodie, da ruzante a tar antino, nella scena 51 mari. Nel coro poliglotta, nella delirante polifo- (Cotesta 2002, 5). Tanto più che parte del terri-
nia che commenta la visione e la sua successiva torio degli Usa “è stata colonizzata da pellegrini
dissolvenza, l’autore ha modo così di riversare un inglesi alla ricerca di libertà religiosa”, così come
lessico inzuppato di latte e invaso dal fango, là lo sviluppo economico è stato realizzato “grazie
dove l’io si annulla e con lui svaniscono le distin- anche a consistenti flussi di manodopera nera
zioni spazio-temporali e la razionalità storiciz- comprata sul mercato degli schiavi fiorente per
zante. I suoni concitati, quasi il canto lamento- secoli tra le due sponde dell’Atlantico” (Cote-
so intorno ad un parto bramato/temuto, paiono sta 2002, 3). Da un lato, pertanto, ipertrofia del-
richiamare il sabba frenetico con cui Dario Fo, la razionalità, sprigionata “solo se si è estranei gli
nel monologo plurale del Mistero buffo, presen- uni agli altri”, dall’altro la mobilità quale aper-
tava sette anni prima la sua Resurrezione di Laz- tura all’esperienza (Cotesta 2002, 14). Ed è pro-
zaro. Vi si riscontra, infatti, proprio il Carneva- prio l’ebreo a mostrarsi incapace di metter radi-
le, col vocabolario centrifugato, ancora una volta ci. E la sua estraneità si traduce nell’ambivalenza
il babelico Fontego lagunare, il caos grottesco riguardo allo spazio, perché “la distanza nel rap-
dell’evento numinoso rivissuto in chiave popo- porto significa che il soggetto vicino è lontano,
lare, come se a dettare questo Vangelo apocrifo mentre l’essere straniero significa che il sogget-
fosse lo sproloquio di uno Zanni ebbro e irritua- to lontano è vicino” (Cotesta 2002, 16). Essendo
le. In tale maniera, si conferma il recupero alto vicino-lontano, “non è riconosciuto come un in-
del dialetto in funzione dell’estro poetico, fuo- dividuo, ma come il membro di un tipo, di una
ri da qualsiasi bozzettismo o intermezzo comi- classe, come l’elemento che è costantemente so-
co, mentre una scrittura più che mai preziosa si speso sul limite, che è fuori e di fronte” (Cote-
rovescia nell’estro e nel disordine vitalissimo di sta 2002, 21). Una volta emigrato fuori, l’ebreo,
un corpo in scena. il primo cosmopolita e cittadino del mondo, si
emancipa dal suo vecchio habitat, e privo di lega-
Se il più importante uomo di teatro della mi com’è col nuovo mondo che l’accoglie anche
scena occidentale, Shakespeare, inventaria quat- con asprezza, non può, nella ricerca iniziale di
tro figure di straniero, ossia la donna, l’ebreo, assimilazione, che attivarsi lungo due traiettorie,
il moro e il selvaggio (Deidda 1997, 497- 511)18, ovvero “la secolarizzazione della società e l’indi-
quello che qui interessa è l’ebreo dissociato tra vidualizzazione dell’individuo” (Cotesta 2002,
un nomadismo incessante, quasi per il bisogno 25). Non basta, in quanto l’ebreo- straniero in
di “essere altrove”, (Fink 1997, 139) e il tentati- quanto uomo marginale, secolarizzato e cosmo-
vo reiterato di farsi assimilare in una determina- polita, è anche e soprattutto “individuo metro-
ta realtà culturale-linguistica. Straniero-ebreo-e- politano”, anticipando “le relazioni di estraneità
retico-marginale diviene allora un volano per esistenti tra gli uomini della modernità” (Cote-
i motori dello sviluppo capitalistico moderno, sta 2002, 29).
assumendo sempre più rilievo nel suo decollo
(Cotesta 2002, 9-14). È lui a saggiare l’effettiva Qui si aggancia la contraddizione ogget-
apertura o meno delle società in cui cerca di pe- tiva, o meglio la mimetizzazione operata in tal
netrare, è lui a verificarne sulla sua pelle il grado senso da Harold Pinter nel presentare la statici-
di tolleranza: “Il senso di sicurezza o la paura ver- tà esasperata del nucleo familistico in The room
so l’altro sono l’espressione della fiducia che una al debutto nel 1960, casa però mostrato quale ba-
comunità ha in se stessa. Se si crede nella pro- ra-bunker e il condominio quale lager traslato.
pria capacità di integrare altri individui al pro- La stanza, vera protagonista del play, è proprio
lo spazio vitale per sopravvivere rispetto al mon-
18 Deidda ricava tali categorie da Fiedler 1972, cui aggiunge le figure do esterno, pericoloso e violento, in uno scena-
del malinconico e del mago, 497.