Page 36 - Hrobat Virloget, Katja, Kavrečič, Petra, eds. (2015). Il paesaggio immateriale del Carso. Založba Univerze na Primorskem, Koper.
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il paesaggio immateriale del carso

Il nome benandanti significava »benevolo«, »caritatevole« ecc. Gli stessi si sentiva-
no appartenenti della popolazione rurale, anche se fra di loro c’erano dei cittadini. Af-
fermavano che di notte »in spirito« si riunivano segretamente da qualche parte nel Friuli
orientale, ovvero vicino al confine con l’odierna Slovenia. Per gli inquisitori i benandan-
ti erano membri di una setta di apostati, il che significava una sfida, se non anche un peri-
colo potenziale per i cristiani ortodossi nel loro ambiente, come in diverse altre regioni
d’Europa lo erano i bogomili, patari, catari e albigesi. A differenza di quelli, i benandan-
ti furono accusati anche di essere dediti alla stregoneria (Ginzburg, 1966, 23). I benan-
danti non erano un gruppo omogeneo. La maggioranza proveniva dai ceti subalterni, ma
non sempre. Fra di loro era possibile trovare diverse figure, dagli apostati fino ai sensiti-
vi, esorcisti, divinatori, guaritori e ciarlatani, probabilmente anche malati psichici, talvol-
ta più di queste caratteristiche erano connesse con mentalità particolari e vicende di vita
dei singoli.

Il movimento dei benandanti dal tribunale dell’Inquisizione (negli anni 1575–1581)
era visto come stregoneria, collegato col provocare grandini e temporali, infertilità delle
persone e degli animali e congreghe notturne col demonio (Ginzburg, 1966, xii, 204–42).
Gli stessi si definivano »nati vestiti« o »con la camicia«, cioè con una membrana fetale,
con parto podalico o insolito. Riconoscevano che quattro volte all’anno come guerrieri
di Cristo combattevano in diverse terre con strigoni, malandanti). Se prevalevano i benan-
danti, assicuravano in questo modo un raccolto abbondante, altrimenti una resa scarsa e
la minaccia della carestia (Ginzburg, 1966, 217, 221). Sapevano ma anche si informavano su
quali persone sarebbero potute essere stregoni. Era conosciuto qualcuno di Trivignano.
Fra gli altri vennero rammentati anche un certo Stephano di Goritia, di Martino Spizzica da
villa di Chians (Dekani), di territorio di Capo d’Istria, tra le streghe c’era la mogliera che fu di
Paulo Tirlicher de Mersio di sotto in Schiavonia apresso santo Leonardo (Ginzburg, 1966, 219,
229). Menziono questi esempi con lo scopo di richiamare l’attenzione sui rapporti inter-
culturali tra le due regioni vicine.

I benandanti si costituivano in piccoli gruppi che si componevano sia di uomini che
di donne. Ognuno di questi si componeva in base all’appartenenza locale e aveva il suo
capo. Questi gruppi, secondo i verbali giudiziari conservatisi, erano presenti a Udine, Ci-
vidale del Friuli, Gradisca d’Isonzo ma anche a Verona e Vicenza. È molto interessante
che i combattimenti notturni si verificassero nel sonno, quando il corpo del benenadan-
te giaceva nel letto come morto, l’anima invece allora vagava libera ovunque per il mon-
do (Ginzburg, 1966, 220). Se l’anima, in forma di calabrone, bombo, e simili, se ne andava
attraverso la bocca di un uomo dormiente, non poteva tornare indietro e l’uomo mori-
va (Ginzburg, 1966, 225). Come confronto si cita una registrazione di un racconto popo-
lare dei dintorni di Capodistria:

Un giorno gli uomini presero la zappa e scesero giù verso Capodistria per cerca-
re lavoro. Era già molto che camminavano sotto il sole quando giunsero in un certo
posto in cima a un monte. Andarono da un ricco contadino, un Italiano, e gli chie-
sero se aveva lavoro per loro. Li mandò a zappare la vigna. La terra era dura come
la pietra, il sole bruciava e subito divennero madidi di sudore. Erano affamati e as-
setati ma dovevano pazientare. Quando giunse una donna con un cesto sulla testa
con la merenda per loro, si sedettero a terra e divorarono tutto come lupi. Andarono
poi all’ombra di una quercia e si riposarono. Un uomo maturo, di nome Pierin, andò

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