Page 20 - Studia Universitatis Hereditati, vol 7(2) (2019)
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nde carico di umori e di ironia nella rappre-studia universitatis her editati, letnik 7 (2019), številk a 2 20nea, anche straniera. Un giorno gli parlai di Se-
sentazione di una certa tipologia di intellettuale nilità; e insieme ci mettemmo a leggere gli altri
soggetto a una forma di forte “alienazione da let-hereditati scrittori di Trieste, e cioè Saba, Slataper e Stu-
teratura”, ha /…/ versato memorie, fantasie, pro- parich. E anche Quarantotti Gambini, che pur
spezioni critiche e autocritiche, confessioni, let- essendo considerato triestino, era istriano come
ture scherzose di fatti emergenti dalla memoria me. Anzi, il suo romanzo La rosa rossa si svol-
propria e d’ambiente” (Guagnini 2013, 12). Di- ge proprio nella mia città, perfettamente rico-
fatti, in questo complesso romanzo, nel qua- noscibile e quasi raffigurata “dal vero” nelle sue
le il racconto è incastonato tra un incipit e una piazze, nelle sue strade, nei suoi palazzi patrizi,
conclusione, oltre alle memorie lucide ed ironi- nel suo teatro” (Maier 1994, 150). Nell’estate del
che di un intellettuale che nutre un incondizio- 1941 Enrico lasciò la città, ossia Capodistria, e il
nato amore per la letteratura e che nella scrittu- protagonista perse in quello stesso anno l’ami-
ra, con il raccoglimento e il coinvolgimento che co più caro ed anche Vilma, il suo primo amo-
esige vede la salvezza dagli orrori e dalle incom- re. Dopo la fine della guerra, allorché la cittadina
benze della vita, rivive il clima di un’intera epoca natia dell’io narrante passò con l’Istria all’am-
e l’atmosfera della Capodistria degli anni Tren- ministrazione jugoslava, anch’egli fu costretto
ta, anni in cui il fascismo diffondeva il proprio ad abbandonarla per stabilirsi nella città dei suoi
credo trovando da un lato l’entusiastica appro- studi e della sua ormai avviata carriera universi-
vazione delle folle, ma dall’altro l’atteggiamen- taria, Trieste: “Io avrei lasciato comunque la mia
to di chi non condivideva, come l’io narrante, città. Ma una cosa è lasciarla di propria volontà,
la passione per le adunate, gli sport di massa, il con la possibilità di potervi far ritorno quando lo
protezionismo culturale, e privilegiava, invece, la si desideri; un’altra è abbandonarla da esuli o da
lettura delle opere “proibite” provenienti d’oltre- profughi, e per effetto di una costrizione, se non
oceano e lo studio che, poiché concedeva l’isola- manifesta e violentemente intimidatoria, certa-
mento, diviene “la maggiore e più valida alterna- mente implicita, sottintesa, strisciante”, informa
tiva al fascismo” (Maier 1994, 175). Una messe di il protagonista, e chiosa: “Costrizione cui a un
dati e notazioni, insieme riuniti, forniscono un certo momento fece riscontro in me un deciso,
interessante spaccato di vita e di costume di quel consapevole impegno morale di venir via da un
determinato periodo. Risale a quegli anni anche luogo dove non si poteva più vivere in condizione
il sodalizio culturale con Enrico Saltini, l’edito- di libertà” (Maier 1994, 221-222). Un luogo dove
re-amico delineato in apertura del romanzo, cui non c’era più nessuno che il protagonista cono-
il protagonista de L’assente affida la pubblicazio- scesse, e dove egli si sentiva sempre più solo, come
ne di quello che, a sua detta, è il suo “primo, ul- il “sopravissuto a un cataclisma”.
timo e unico romanzo” (Maier 1994, 9). Per il
protagonista quella amicizia, che risale agli anni Le pagine di questo romanzo, connotate
del liceo, è stata importante: un legame profon- dalla robusta coscienza linguistica del suo auto-
do tra due giovani complementari, necessari l’u- re, dall’idea alta della letteratura che lo sostiene,
no all’altro, che si stimolavano a vicenda, un rap- dalla schiettezza del dettato privo di angolosità
porto d’amicizia e di collaborazione durato tre e dalla qualità sempre alta dello stile, presenta-
anni e rafforzato quotidianamente dalla condi- no un’impietosa autoanalisi a sfondo psicanali-
visione di interessi culturali e letterari comuni. tico di un uomo che vuole uscire dalla dispera-
Esemplificativo il seguente passo, una chiara di- zione egocentrica e dallo strazio di un esasperato
chiarazione di riconoscenza da parte del prota- individualismo che per il protagonista è una for-
gonista a quell’amico perso di vista e ritrovato in za che “fa progredire, infonde il desiderio, anzi
età avanzata: “Dovetti a Enrico gran parte del- la volontà di emergere” (Maier 1994, 251). Que-
la mia conoscenza della letteratura contempora- sta volontà si traduce nel resoconto retrospettivo
di una vita, nella confessione sincera dei propri
sentazione di una certa tipologia di intellettuale nilità; e insieme ci mettemmo a leggere gli altri
soggetto a una forma di forte “alienazione da let-hereditati scrittori di Trieste, e cioè Saba, Slataper e Stu-
teratura”, ha /…/ versato memorie, fantasie, pro- parich. E anche Quarantotti Gambini, che pur
spezioni critiche e autocritiche, confessioni, let- essendo considerato triestino, era istriano come
ture scherzose di fatti emergenti dalla memoria me. Anzi, il suo romanzo La rosa rossa si svol-
propria e d’ambiente” (Guagnini 2013, 12). Di- ge proprio nella mia città, perfettamente rico-
fatti, in questo complesso romanzo, nel qua- noscibile e quasi raffigurata “dal vero” nelle sue
le il racconto è incastonato tra un incipit e una piazze, nelle sue strade, nei suoi palazzi patrizi,
conclusione, oltre alle memorie lucide ed ironi- nel suo teatro” (Maier 1994, 150). Nell’estate del
che di un intellettuale che nutre un incondizio- 1941 Enrico lasciò la città, ossia Capodistria, e il
nato amore per la letteratura e che nella scrittu- protagonista perse in quello stesso anno l’ami-
ra, con il raccoglimento e il coinvolgimento che co più caro ed anche Vilma, il suo primo amo-
esige vede la salvezza dagli orrori e dalle incom- re. Dopo la fine della guerra, allorché la cittadina
benze della vita, rivive il clima di un’intera epoca natia dell’io narrante passò con l’Istria all’am-
e l’atmosfera della Capodistria degli anni Tren- ministrazione jugoslava, anch’egli fu costretto
ta, anni in cui il fascismo diffondeva il proprio ad abbandonarla per stabilirsi nella città dei suoi
credo trovando da un lato l’entusiastica appro- studi e della sua ormai avviata carriera universi-
vazione delle folle, ma dall’altro l’atteggiamen- taria, Trieste: “Io avrei lasciato comunque la mia
to di chi non condivideva, come l’io narrante, città. Ma una cosa è lasciarla di propria volontà,
la passione per le adunate, gli sport di massa, il con la possibilità di potervi far ritorno quando lo
protezionismo culturale, e privilegiava, invece, la si desideri; un’altra è abbandonarla da esuli o da
lettura delle opere “proibite” provenienti d’oltre- profughi, e per effetto di una costrizione, se non
oceano e lo studio che, poiché concedeva l’isola- manifesta e violentemente intimidatoria, certa-
mento, diviene “la maggiore e più valida alterna- mente implicita, sottintesa, strisciante”, informa
tiva al fascismo” (Maier 1994, 175). Una messe di il protagonista, e chiosa: “Costrizione cui a un
dati e notazioni, insieme riuniti, forniscono un certo momento fece riscontro in me un deciso,
interessante spaccato di vita e di costume di quel consapevole impegno morale di venir via da un
determinato periodo. Risale a quegli anni anche luogo dove non si poteva più vivere in condizione
il sodalizio culturale con Enrico Saltini, l’edito- di libertà” (Maier 1994, 221-222). Un luogo dove
re-amico delineato in apertura del romanzo, cui non c’era più nessuno che il protagonista cono-
il protagonista de L’assente affida la pubblicazio- scesse, e dove egli si sentiva sempre più solo, come
ne di quello che, a sua detta, è il suo “primo, ul- il “sopravissuto a un cataclisma”.
timo e unico romanzo” (Maier 1994, 9). Per il
protagonista quella amicizia, che risale agli anni Le pagine di questo romanzo, connotate
del liceo, è stata importante: un legame profon- dalla robusta coscienza linguistica del suo auto-
do tra due giovani complementari, necessari l’u- re, dall’idea alta della letteratura che lo sostiene,
no all’altro, che si stimolavano a vicenda, un rap- dalla schiettezza del dettato privo di angolosità
porto d’amicizia e di collaborazione durato tre e dalla qualità sempre alta dello stile, presenta-
anni e rafforzato quotidianamente dalla condi- no un’impietosa autoanalisi a sfondo psicanali-
visione di interessi culturali e letterari comuni. tico di un uomo che vuole uscire dalla dispera-
Esemplificativo il seguente passo, una chiara di- zione egocentrica e dallo strazio di un esasperato
chiarazione di riconoscenza da parte del prota- individualismo che per il protagonista è una for-
gonista a quell’amico perso di vista e ritrovato in za che “fa progredire, infonde il desiderio, anzi
età avanzata: “Dovetti a Enrico gran parte del- la volontà di emergere” (Maier 1994, 251). Que-
la mia conoscenza della letteratura contempora- sta volontà si traduce nel resoconto retrospettivo
di una vita, nella confessione sincera dei propri